martedì 21 luglio 2015
PLAYLIST LUGLIO
THE GRIFTERS So Happy Together (Sonic Noise, 1992) CARDINAL s/t (Flydaddy, 1994) UN s/t (Siltbreeze, 1996) CAVITY Supercollider (Man's Ruin, 1998) RUN ON Start Packing (Matador, 1996) GASP Drome Triler Of Puzzle Zoo People (Slap A Ham, 1998) JOHN HASSELL Earthquake Island (Tomato, 1978) SCENIC Acquatica (World Domination, 1996) GROUND ZERO Revolutionary Pekinese Opera Ver 1.28 (Rer Megacorp, 1996) TALK TALK Laughing Stock (Verve, 1991)
domenica 12 luglio 2015
JESTERN + MERIDIAN BROTHERS live @ Dobialab - Staranzano (GO) 11 Luglio 2015
C'è il pubblico delle grandi occasioni questa sera per l'unica data sul suolo italico dei colombiani Meridian Brothers, band che si può scegliere se amare o odiare, sicuri di non sbagliare in ogni caso. A capitanarli Eblis Alvares, un vivace e allampanato polistrumentista che in studio suona tutta da solo e dal vivo si avvale dell'aiuto di altre quattro persone. Introdotti in Europa da una raccoltona sulla berlinese Staubgold (Devociòn – Works 2005-2001) i MB hanno via via guadagnato le simpatie di molti ascoltatori, soprattutto dopo il beneplacito della rivista inglese The Wire e l'uscita del lavoro su lunga distanza "Salvadora Robot" (Soundway). Antipasto del concerto il live set di elettronica di Jestern. Da una fase iniziale di contemplazioni destrutturate a là Cluster si passa ad accensioni di ritmo e spirali elicoidali di un dna mutante, senza mai perdersi in mille variazioni e tenendo ben salda la rotta. E' una gestione del suono molto attenta, che mi ha ricordato la vivacità di tutti quei nomi che a fine anni novanta / inizi duemila uscivano su etichette come Rephlex, Sonig, ecc. Bravo! Salgono sul palco i cinque colombiani e a giudicare dalle reazioni euforiche del pubblico è una di quelle partenze da zero a cento. Con spirito in tutto e per tutto appartenente all'esuberanza delle musiche tradizionali sudamericane le contaminazioni sono assorbite nel corpo centrale del ritmo, ed è solo dopo i primi due-tre pezzi che si intravede la grana del suono. Viene da etichettarli come una versione speedata dei Flying Lizards con Tom Zé in un angolo a guardare. Ma il loro stile è ricettivo allo stesso tempo anche alle stupidinerie-suonini dei Residents così come all'estetica fast'n'boulbous di alcuni gruppi della Skin Graft. Sembra davvero di essere in una di quelle prime animazioni della Walt Disney con esseri viventi e cose in perenne e selvaggia mutazione. Il pubblico è in deliro e c'è pure chi in mezzo alla bolgia accenna un trenino (!). Bis d'ordinanza e saluti finali. Una serata che resterà negli occhi e nelle orecchie di molti. Grazie ai ragazzi di Dobialab per averci regalato questa grande emozione.
venerdì 10 luglio 2015
SONNY & LINDA SHARROCK paradise - LP (ATCO, 1975 - REISSUE CD Water, 2002)
L'impatto della chitarra di Sonny Sharrock nel campo del jazz avantgarde è stato devastante. Autodidatta dello strumento, lo zazzeruto afroamericano, ha collaborato nel corso della carriera coi grandi del genere, togliendosi non pochi sfizi. Per far due esempi al volo: lo troviamo nei credits di “Jack Johnson” di Miles Davis, e nei due album di Pharoah Sander, “Izipho Sam” (Strata-East, 1973) e “Tahiud” (Impulse! 1967). Lo status di leggenda planetaria però gli verrà conferito grazie a due album incisi assieme alla moglie Linda, una sorta di Yoko Ono posseduto dal demonio, la cui ugola rimane un proiettile di luce zigzagante tra grandi forme di acciaio temperato. Nel segno di un delirante sabotaggio ai danni dell'ascoltatore “Black Woman” (Vortex, 1969) e “Monkey-Pockie-Boo” (BYG, 1970) non solo misero a ferro e fuoco precedenti schemi musicali, ma contribuirono (o almeno a me così piace pensare) a gettare le basi per quel ground zero che anni dopo farà piazza pulita di tutto: la no wave. Prima della pausa decennale e l'entrata nella task force Last Exit di Brotzmann/Laswell/Jackson, Sonny e coniuge registrarono “Paradise”, affiancati da un gruppo di validi strumentisti. Un album molto ambizioso per intenti, ma che lasciò interdetti molti dei loro estimatori della prima ora. E sono facilmente intuibili i motivi. La violenta meteorologia di un tempo ora mutava in una formula avant funk / fusion che ne elevava radicalmente il coefficiente di artificiosità. Contestualizzato nel suo anno di uscita poi, il 1975, con i fermenti in altre latitudini musicali e tutto il bendiddio che stava per esplodere un lavoro del genere non poteva che venir frettolosamente rubricato. Chi ci ha provato a dargli una seconda chance è stata la Water nel 2002, con la riedizione in cd accompagnata dalle note di Byron Coley. Sebbene i brani non diano l’impressione di esser frutto di casuali attimi d’ispirazione, mostrano una perfetta interazione delle diverse componenti e la volontà di non fissarsi mai su un unico tavolo da gioco. Sentite, ad esempio, come fluisce libero il solo di Fender Rhodes e Moog nella traccia d’apertura, “Apollo”, oppure la voce di Linda e la capacità di controllo su ciò che le si muove attorno in “1953 Blue Boogie Children”. E’ come se il fervore evangelico frammisto all’asprezza arrabbiata della Fire Music si trovasse a fare i conti con uno spazio fluttuante e geometrico. Magari sarò vittima delle mie suggestioni (l’ho ascoltato davvero tanto nelle ultime settimane) ma non credo di poter spendere alcun termine di paragone adeguato. Non perché sia una miscela inedita, mai sentita, ma semplicemente perché qui dentro, il modo in cui si gioca con tutti i propri mezzi e tutti i propri limiti è avanti anni luce. Al confronto con molta della musica che è venuta dopo la sensazione è quella di album in anticipo sui tempi, visionario e genuino. Chissà che qualcuno non si prenda la briga di una nuova ristampa. Riaccenderebbe l’interesse guadagnando nuovi ascoltatori.
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